Con il finire dell’estate moltissime persone si trovano a soffrire di bassi livelli di energia, affaticamento e sonnolenza . Questo improvviso bisogno di riposare di più viene spesso attribuito alla fine delle vacanze estive e al ritorno alla routine quotidiana dei mesi invernali. Si tratta però della reazione del nostro corpo alla progressiva riduzione delle ore di luce naturale. Nei paesi nordici – in cui le giornate d’inverno durano appena una manciata di ore – il fenomeno è ancora più acuto e diffuso, tanto che gli psicologi hanno coniato un nuovo termine per indicare questa patologia scatenata da un’esposizione insufficiente ai raggi solari: disturbo stagionale affettivo. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi è sufficiente sottoporsi alla cosiddetta “terapia luminosa” per sentirsi meglio. Quest’ultima consiste nell’esporsi a luci artificiali che simulano la luce del sole e stimolano il cervello ad aumentare la produzione di serotonina, il neurotrasmettitore che ha la funzione di regolare l’umore.
Proprio perché un livello inadeguato di esposizione alla luce può avere effetti anche gravi sulla salute, in Italia la normativa UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione) EN-12464-1 del 2011 regola l’illuminazione nei luoghi di lavoro. Non esistono invece normative dedicate ai progetti di illuminazione domestica. Perché questo buco normativo? Una normativa ad hoc per le abitazioni sarebbe necessaria?
Gli italiani e il telelavoro
Prima di tutto bisogna tenere presente che la normativa fa parte di una famiglia più ampia di regole volte a tutelare la salute e il benessere dei lavoratori imponendo ai datori di lavoro l’onere di garantire l’incolumità dei propri dipendenti. Diversamente, all’interno della propria abitazione ognuno è libero di esporsi a situazioni di rischio e/o disagio, a patto che non vengano imposte le stesse condizioni anche ad altri. Detto questo, le abitazioni civili sono spesso e volentieri anche ambienti di lavoro.
Stando ai dati raccolti dall’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, in Italia circa l’8% dei lavoratori dipendenti – o 305,000 mila lavoratori – si avvale della possibilità di compiere parte delle proprie mansioni da casa in modalità di telelavoro. Inoltre l’Istat riporta che nel 2016 più di 7 milioni di donne si definivano casalinghe e che ognuna di loro svolge in media 2.539 ore di lavoro non retribuito ogni anno. A tali numeri vanno aggiunti poi i collaboratori e gli assistenti domestici, i liberi professionisti, gli studenti, e tutti coloro che svolgono le proprie attività di lavoro e di studio principalmente all’interno delle mura domestiche. Questo breve calcolo evidenzia come in Italia una grossa fetta di forza lavoro non sia in realtà tutelata dalla normativa EN-12464-1, che sarebbe pertanto auspicabile applicare anche alle abitazioni.
Ecco i parametri di controllo più importanti regolati dalla normativa:
Le aree di calcolo e i valori di illuminamento
Il valore di illuminamento per ciascuna area di lavoro (es. tavoli, scrivanie, ripiani della cucina) è da calcolarsi separatamente e possibilmente da un esperto, ma tenendo conto che per la zona di compito visivo sono raccomandati circa 500 lux provenienti da una fonte di luce posta sopra la superficie, mentre per la zona immediatamente circostante sono raccomandati 300 lux.
Seguire queste raccomandazioni è importante perché quando il piano di lavoro è scarsamente illuminato, l’occhio fa più fatica a mettere a fuoco gli oggetti. Sforzare la vista non provoca danni permanenti, ma può comunque causare fastidi come arrossamento e bruciore degli occhi, mal di testa e problemi di concentrazione.
Abbagliamento
La qualità della vista può influenzata anche dal problema opposto, ovvero un eccesso di luce. Per abbagliamento si intende un peggioramento delle funzioni visive causato dalla presenza eccessiva di luminanze all’interno del campo visivo. Si parla di abbagliamento diretto quando avviene ad opera di fonti dirette di luce, e di abbagliamento indiretto quando avviene per riflessione. Per evitare gli abbagliamenti, bisogna conoscere già in fase di progettazione la posizione della zona di compito nella stanza e quella del lavoratore rispetto a quest’ultima. Tramite questi dati è possibile calcolare la posizione e la potenza ideale delle fonti di luci ed evitare che si creino fastidiosi bagliori.
In connessione all’abbagliamento bisogna tener conto anche del daylighting, ossia della penetrazione della luce naturale all’interno della stanza. Non bisogna dimenticare che l’abbagliamento può essere causato sia dalla luce naturale che da quella artificiale. Pertanto le fonti di luce naturale vanno dotate di sistemi di oscuramento adeguati (tende, tapparelle, veneziane, ecc.) perché non si possono spegnere.
Tonalità di colore e indice di resa cromatica
La tonalità di colore e l’indice di resa cromatica della luce influenzano sia il modo in cui i colori vengono percepiti, che l’umore e la produttività.
L’indice di resa cromatica (IRC) serve a misurare quanto appaiono naturali i colori quando osservati sotto una certa sorgente luminosa. Il valore IRC ottimale è compreso tra 85 e 100, ma si possono considerare buoni tutti i valori superiori a 70. Ad ogni modo, avere una resa cromatica ottimale è importante per il confort visivo principalmente quando si svolgono lavori per cui è necessario distinguere i colori con estrema accuratezza. In condizioni normali, una resa cromatica buona può considerarsi sufficiente.
Anche la tonalità o temperatura della luce non crea particolare problemi a livello di confort visivo. Tuttavia, può influenzare l’umore e la produttività delle persone. Infatti, la luce naturale assume tonalità diverse nel corso della giornata e il nostro organismo è programmato per reagire a ciascuna tonalità a seconda del momento che richiama: i toni freddi tipici della luce mattutina stimolano la concentrazione, mentre quelli caldi del tramonto conciliano il sonno e creano un’atmosfera di relax.
Nonostante la resa cromatica e la tonalità della luce abbiamo entrambe la capacità di modificare la percezione dei colori da parte del nostro occhio e di influenzare umore e produttività, è bene specificare che si tratta di concetti indipendenti l’uno dall’altro. Infatti, è possibile avere valori IRC differenti per la stessa tonalità di luce e tonalità di luce diverse con pari resa di colore.
Infine, bisogna tenere presente che la tonalità e la resa cromatica dell’illuminazione di un ambiente non sono determinate solo dalle fonti di luce artificiale, ma sono il risultato della somma tra luci artificiali e naturali. Quindi, le fonti di luce naturale vanno sempre considerato nelle operazioni di computo illumino-tecnico.
Flickering
Un’ultima breve menzione va al fenomeno del flickering, o effetto sfarfallio. Anche se molti non lo sanno, la maggior parte delle lampadine in commercio al momento sono soggette a questo fenomeno.
Il flickering avviene perché le lampadine sono alimentate da sistemi elettrici a corrente alternata. Nella maggior parte dei paesi la corrente alternata ha frequenza pari a 100 Hz e cambia polarità 50 volte al secondo. A ogni cambio la lampadina si accende e si spegne così velocemente che non ci accorgiamo di nulla. Il nostro nervo ottico però percepisce ogni accensione e spegnimento, ed invia un segnale al cervello affinché interpreti l’immagine registrata. Per questo motivo, anche un flickering apparentemente impercettibile può causare sensazioni di malessere e stanchezza mentale.
Tutte le lampadine alogene e a incandescenza sono soggette al fenomeno del flickering, che non può essere eliminato o ridotto in alcun modo. Nelle lampadine a fluorescenza lo sfarfallio si può eliminare, ma farlo le rende più costose. Per questo, la maggior parte di quelle disponibili sul mercato sono soggette a un flickering simile a quello di lampadine alogene e a incandescenza. Invece, le lampadine al LED – a patto che siano dotate di un buon alimentatore – hanno uno sfarfallio praticamente nullo.
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